SANT’ONOFRIO: PEZZO RESTA IN SELLA IL TAR RIGETTA IL RICORSO DELL’EX SINDACO
(SANT‘ONOFRIO) Se non è una Caporetto, poco ci manca.Ma tant’è, il pronunciamento della prima sezione del Tar Calabria non lascia adito a dubbi: il tentativo del gruppo di minoranza “Tre Spighe” di rimettere in discussione l’esito della recente consultazione elettorale per il rinnovo dell’amministrazione comunale è palesemente naufragato.Con la pubblicazione della sentenza dello scorso 19 gennaio, infatti, il collegio giudicante del massimo organo giurisdizionale amministrativo regionale, composto da Giancarlo Pennetti (presidente), Francesca Goggiamani e Domenico Gaglioti, dichiara “infondato” il ricorso a suo tempo presentato contro il Comune di Sant’Onofrio, la Prefettura di Vibo Valentia ed il Ministero dell’Interno.Condannando altresì l’ex sindaco Onofrio Maragò, nella sua qualità di ricorrente, al “rimborso delle spese di lite in favore del comune di Sant’Onofrio per complessivi 3300 euro” oltre al “rimborso forfettario delle spese legali”.
La sentenza riafferma quindi il responso popolare che peraltro in modo inequivocabile aveva segnato la vittoria, con ben 118 voti di scarto, della compagine “Coraggio Sant’Onofrio” guidata dall’attuale sindaco Antonino Pezzo sulla lista concorrente delle “Tre Spighe”.
Entrando nel merito delle motivazioni alla base del rigetto del ricorso, i giudici amministrativi si soffermano in particolare sulla presunta eccessiva somiglianza tra i simboli “Coraggio Sant’Onofrio” e “Coraggio Italia”, che avrebbe indotto in errore gli elettori, stante la concomitante elezione per il rinnovo del Consiglio Regionale.
A tal proposito, dopo un analitico esame delle caratteristiche dei due simboli, viene rilevato che gli “elementi che li distinguono sono maggiori di quelli che li accomunano”.
Ed a riprova ulteriore della capacità di discernimento degli elettori, viene evidenziato come le “criticità si ridurrebbero a non più di otto casi, un numero assai modesto rispetto alla platea degli elettori”.
Riguardo poi la paventata violazione del precetto costituzionale che impone una adeguata presenza femminile nelle liste, i giudici ricordano che tale disposto normativo riguarda i comuni con popolazione superiore ai cinquemila abitanti. E comunque, rilevano, anche accettando le argomentazioni a “voler escludere tre candidati di genere maschile per ristabilire il rapporto di sei uomini e tre donne, la lista del ricorrente non otterrebbe alcun beneficio”.
“Ciò perché – concludono i magistrati amministrativi – il differenziale di preferenze ottenuto dai candidati eccedenti il limite massimo sarebbe pari a 95 voti e quindi insufficiente a colmare la differenza di preferenze esistenti tra le due liste”.
(Raffaele Lopreiato Gazzetta del Sud )