L’EXCURSUS STORICO DEL PROF. FUSCÀ SPIEGA L’ESATTA DIZIONE. VIAGGIO NELLA FONETICA PER CAPIRE COME SI PRONUNCIA VIBO VALENTIA.
Finora abbiamo sempre pensato che fosse corretto chiamare la nostra città Vibo Valenzia.
«È la t latina» ribadivamo a chi invece pronunciava Vibo Valentia. A mettere i puntini sulle “i” in una lettera aperta indirizzata al sindaco Elio Costa è il prof. Domenico Fuscà che chiarisce l’esatta dizione.

Prof. Fuscà Domenico
La sua ricerca parte da un excursus storico che ci porta a settecento anni prima della nascita di Cristo, quando a poche centinaia di metri rispetto all’attuale centro cittadino, sorgeva una borgata di nome Veipunium nella lingua dei Bruzi, gli antichi abitatori della Calabria centro-settentrionale. Data la sua lunghezza il nome era frequentemente abbreviato in Veip. Poi i greci trasformarono il nome in Hipponion, mentre i romani nel terzo secolo A.C. ripristinarono Veip, trasformandolo in Vibo, più tardi anche in Vibona. Diversi decenni dopo per la fedeltà e il coraggio dimostrati dai vibonesi nella seconda guerra punica il senato di Roma decretò di aggiungere a Vibo l’appellativo di Valentia denominazione mantenuta fino al Medioevo quando Vibo divenne Monteleone, nome conservato fino al 1929 quando la città riprese l’appellativo romano di Vibo Valentia.
«È a questo punto – osserva il prof. Fuscà rivolgendosi al primo cittadino – che sollevo le mie proteste contro l’errata pronuncia del nome che con la fonia di Valenzia non è mai esistito. Nella lingua latina infatti la consonante “t” mantenne sempre il suo suono proprio fino al periodo imperiale di Roma, allorchè le sillabe tio, tia ecc. trasformarono il loro suono in zio e zia e le lettere “v” e “u” costituivano una sola lettera avente il suono vocalico di u». Questo si protrasse fino al 1522 quando il famoso umanista Gian Giorgio Trissino operò la famosa riforma grafico-fonica che trasformò la t in z per le parole terminanti in tione con la pronuncia zione e la separazione della v dalla u le quali avendo segno grafico diverso dovevano avere suono fonico diverso. Dopo qualche anno anche le parole non terminanti in tione subirono la trasformazione della t in z. Parole come gratia e amicitia cominciarono ad assumere la grafia moderna e si trasformarono in grazia e amicizia. «La nostra città – prosegue Fuscà – che si chiamava allora Monteleone non potè subire la trasformazione della t in z come avvenne ad esempio per Lametia e Venetia che diventarono Lamezia e Venezia. Per altro nella lingua italiana non c’è alcuna regola fonetica che impone alla t la pronuncia della z. Leggiamo pertanto – conclude lo studioso vibononese – il nome della nostra città facendo sentire la t».
Gazzetta del Sud 11/01/2018 (v.s.)