VIBO VALENTIA: GIOVANI E LAUREATI ALLE PORTE DELLA CARITAS
La fotografia del disagio in aumento nel Vibonese scattata dal direttore del centro diocesano don Fortunato Figliano
Giovani e laureati alle porte della Caritas
In neanche dieci mesi 700 interventi: mancano i soldi per le bollette e le visite mediche
Rosita Mercatante
Nonostante i vertici della politica nazionale parlino di una crisi economica in via di superamento, quella della povertà resta una delle piaghe sociali più sanguinanti. E se il Meridione rappresenta una delle zone dove vive il maggior numero di persone a cui manca il minimo indispensabile per condurre una vita dignitosa, il vibonese – definito dagli istituti statistici la più povera d’Italia – avverte ancor di più il peso di questa zavorra. Qui ad essere privi di beni e servizi essenziali sono persone appartenenti a quel ceto medio, che per anni è apparso come la nuova forza del paese, e che oggi invece ha fornito le reclute per formare l’esercito dei “nuovi poveri”.

Don Fortunato Figliano – CARITAS
In vetta agli indigenti ci sono i giovani. I ragazzi dei call center, i laureati che lavorano nel precariato o gli inoccupati. Così l’idea della persona bisognosa anziana e trascurata viene sovvertita: i poveri non sono solo i mendicanti, non sono solo i lavavetri. Tra i nuovi poveri ci sono coloro che hanno perso il lavoro, spesso giovani padri di famiglia, e che non hanno proprio una prospettiva di ricerca perché vivono una situazione di incertezza, ci sono i pensionati, le neofamiglie. Persone costrette a bussare ai centri della Caritas, presenti sul territorio nelle sue varie articolazioni. Le richieste d’aiuto sono per riuscire a gestire l’ordinario, improvvisamente diventato emergenza: la spesa, le bollette, i vestiti. «Il pagamento delle bollette, del mutuo, delle tasse universitarie. O ancora il supporto per poter affrontare delle cure mediche o visite specialistiche fuori regione sono tra i principali interventi operati dalla nostra organizzazione – ha spiegato don Fortunato Figliano, direttore della Caritas diocesana – che registra numeri poco rassicuranti del fenomeno».
Nell’anno in corso, cioè in quasi 10 mesi, nel distretto della diocesi la media degli interventi si attesta intorno ai 700. I casi sono a macchia di leopardo sull’intero territorio. Si tratta di un dato allarmante ed indicativo della crescita in maniera progressiva degli aiuti forniti a partire dal 2008 (anno di inizio della crisi) fino ad oggi. Quello dell’Organismo pastorale è un approccio umano: si parte dall’offrire uno spazio di dialogo, di ascolto. Serve per far uscire dallo stato di angoscia la persona, e dallo stato emotivo complicato causato dal non poter programmare il proprio futuro. «I nuovi poveri – ha proseguito il direttore – sono anche quelle persone che vivono la solitudine». Occorre anche discernimento: ogni caso a seguito della richiesta presentata al centro di ascolto, viene valutato a fondo, secondo precisi criteri, perché – ha sottolineato don Fortunato – «ci sono veri bisogni e finti bisogni. Per capirlo facciamo riferimento alle parrocchie che conoscono da vicino le situazioni. Evitiamo inoltre di inculcare il pensiero secondo cui la Caritas funziona come un bancomat. Il nostro obiettivo è liberare l’individuo dallo stato di emergenza, mai di farne un dipendente a vita. Non vogliamo creare ostaggi, ma vogliamo liberare le persone. Le abituiamo in un percorso lento e anche difficile di liberazione nell’attesa che si trovi la soluzione».
Soluzione che chiama alla sinergia e, in tal senso, una parentesi è anche sull’impreparazione che spesso le istituzioni dimostrano e, non a caso, «molte volte anche i comuni si rivolgono alla Caritas demandandone la risoluzione del caso. Bisognerebbe invece lavorare in sinergia». Infine una domanda, che suona quasi come una provocazione: «La macchina istituzionale pensata per il sostegno dei bisognosi non si muove. Per quale motivo?».
Allegato:
La Chiesa impegnata tra richieste e ricerca di soluzioni
«Sono gli italiani a chiedere aiuto, non i migranti»
A dispetto di quanto si potrebbe essere portati a credere, gli interventi compiuti dalla Caritas sono prevalentemente nei confronti di persone di nazionalità italiana. Raramente sono degli stranieri a chiedere assistenza. Ciò avviene certamente non per una chiusura da parte dell’Organizzazione nei confronti di chi appartiene ad una religione diversa da quella cristiana, ma «probabilmente gli extracomunitari riescono a rispondere autonomamente alle loro esigenze – ha affermato il direttore Figliano – in quanto sono già abituati all’essenziale, e conducono uno stile di vita minimalista rispetto a quello che può essere il nostro vivere ordinario». Resta la preoccupazione di dare delle risposte a quanti, sempre più numerosi, vivono di stenti e di incertezze. Sarebbe necessario programmare da più parti l’assistenza sia sul piano teorico che pratico. Da qui, il richiamo alla responsabilità a politica e istituzioni.